UN LIBRO, UNA STORIA: Recensioni, commenti, eventi e curiosità

martedì 17 maggio 2016

Potenza dell'immagine... e dell'immaginazione!

Restaurato il ritratto del Vescovo Daniel Zen 



• è fatta: il ritratto del Vescovo Daniel Zen è stato finalmente restaurato a regola d’arte e d’ora innanzi potrà essere ammirato nel Museo Ladino di Fassa, nella sala dedicata alle “Dinamiche storiche”, in un apposito spazio previsto da tempo, proprio di fronte  all’espositore che ricorda il dramma dei processi per stregoneria.
Uno degli obiettivi del romanzo (e di questo stesso blog, ahimè negletto assai) è giunto dunque a compimento, nonostante varie traversie, e grazie all’impegno dell’Union di Ladins e dell’Istitut Cultural Ladin “majon di fascegn”.

è vero: senza il romanzo il recupero del pregevole ritratto non ci sarebbe stato, ma ancor di più è vero il fatto che senza QUEL ritratto non ci sarebbe stato il romanzo.
“Quel viso affilato, sofferente”, quello “sguardo magnetico” che promana dal dipinto hanno certamente avuto un’influenza decisiva nel determinare la percezione del personaggio da parte dell’Autore, nell’orientare la sua immaginazione, nel dare avvio al processo creativo che ha dato vita ai “Misteri del Cjaslir”.
Se negli anni ’80, al posto di quel quadro dimenticato nella canonica di San Giovanni, fosse comparsa l’incisione (più tardiva?) che oggi vaga nel web tutto ciò non sarebbe accaduto. 

Lo vedete, no? Altro che “santo vescovo”! Al massimo se ne poteva ricavare la figura di un grasso prelato, dallo sguardo rapace, dedito ai suoi affari. Potenza dell’immaginazione!
Come già si diceva qualche tempo fa, sul piano della realtà non si può dire con certezza a quale profilo corrisponda effettivamente la figura storica di Daniel Zen, Principe Vescovo di Bressanone, implicato suo malgrado nei processi per stregoneria contro donne e uomini della sua stessa valle, ma questa è una questione che dovremo lasciare ai posteri.

Per il momento possiamo ammirare il ritratto, apprezzare l’opera accurata di restauro eseguita da Enrica Vinante e gioire tutti insieme per la felice conclusione di questa vicenda. Che anche questo sia un piccolo tassello nel recupero della memoria di questa tormentata comunità ladina di Fassa.

sabato 31 maggio 2014

Una voce dal Friuli

I Misteris dal Cjaslir secondo Renzo Balzan

• Sul periodico “LADINS dal FRIÛL”, organo della benemerita “Union Scritôrs Furlans” (oggi in versione online: http://ladinsdalfriul.blogspot.it) è comparsa di recente una bella recensione, scritta in occasione del Premio Letterario “Mario Rigoni Stern – 2014”, assegnato per l'appunto al friulano Mauro Corona per l'opera “La voce degli uomini freddi” (ed. Mondadori). L'autore (che si firma con lo pseudonimo di edelweiss), così si esprime in merito ai "Misteri del Cjaslir" (segue la traduzione italiana):


Sfont storic di chest drame a son i procès cuintri lis striis che si davuelzerin a Brixen tal Cinccent e tal Sîscent, cuant che a forin torturadis, tumiadis e copadis brusantlis vivis centenârs di biadis feminis, ma ancje oms e fruts, ducj naturalmentri inocents. Cussì il lavôr di Chiocchetti al devente une sorte di denunzie cuintri l’oscurantisim culturâl, i prejudizis, lis superstizions e il fanatisims religjôs che al viôt striis par ogni dontri: “Cetante int no ise mai stade copade tal non di Diu”. 
Al è achì che forsit al sta il plui grant merit di chest libri. Ma al è purpûr un cjant liric al “Amôr principi cosmic che al travane ogni cjosse e dut al cjape dentri intune”.
(...) Dut câs lis pagjinis plui poetichis dal volum a son cence altri i “Fragmenta” che a precedin  ognidun dai cutuardis cjapitui: riflessions, cuadris a se stant di grande spiritualitât, a margjin de conte, scrits cuntun ladin "fascian" de intonazion sclete e plene di melodie.
In conclusion la opare di Fabio Chioccetti e à ducj i contignûts par fânti un libri di sigûr agradiment de  bande dal public dai letôrs: biele scriture, plane e vualive, misteri, culture, storie, religjon. Ma ancje une ocasion par podê cognossi miôr il “mont ladin”, de bande di cui che ladin nol è. Un libri cussì al zove cetant ae cause ladine, e a Fabio i va partant un graziis di cûr! (edelweiß)

* * *
Sfondo storico di questo romanzo sono i processi contro le streghe che si svolsero a Bressanone nel Cinque e Seicento, allorché furono torturate, uccise e arse vive centinaia di povere donne, ma anche uomini e bambini, tutti ovviamente innocenti. Così il lavoro di Chiocchetti diventa una sorta di denunzia contro l'oscurantismo culturale, i pregiudizi, le superstizioni ed il fanatismo religioso che vede streghe per ogni dove: “Quanta morte è stata perpetrata nel nome di Dio”.
Qui forse sta il maggior merito di questo libro. Ma esso è al tempo stesso un canto lirico all'Amore, “principio cosmico che pervade ogni cosa ed ogni cosa connette al Tutto”.
(...) In ogni caso le pagine più poetiche del libro sono senz'altro i "Fragmenta" che precedono ognuno dei 14 capitoli: riflessioni, quadri a sé stanti di grande spiritualità, a margine del racconto, scritti in un ladino fassano di intonazione genuina e piena di melodia.
In conclusione l'opera di Fabio Chiocchetti possiede tutti i contenuti per essere un libro di sicuro gradimento da parte del pubblico dei lettori: bella scrittura, piana e uniforme, mistero, cultura, storia, religione. Ma anche una occasione per poter conoscere meglio il “mondo ladino”, da parte di coloro che ladini non sono. Un libro così giova moltissimo alla causa ladina, e a Fabio vada pertanto un grazie di cuore. 

LADINS dal FRIÛL, Anade ( XVII ) n. 5 Mai 2014, pag 6.

Renzo Balzan è scrittore e poeta friulano molto apprezzato, autore tra l'altro di pregevoli raccolte di versi, tra cui "Poesiis e Liendis de Tiere di Cjargne" (Tumiec 2000).  Inoltre è il fondatore del periodico “Ladins dal Friûl”, creato per mantenere i contatti con i popoli ladini delle Alpi.

domenica 27 aprile 2014

Glorenza, antica terra romancia

 Ovvero: i segni della "donna misteriosa"


Glorenza, città murata posta a presidio della Val Monastero (Müstair), a sua volta porta del Canton Grigioni, Confederazione Elvetica. Come già il monastero benedettino di Monte Maria (Marienberg), Glorenza agli inizi del ’600 per volere degli Asburgo divenne centro culturale e amministrativo da cui promanò la germanizzazione dell’Alta Val Venosta, allora ancora per larga parte di lingua romancia. Qui è ambientata la prima parte del romanzo, incentrata sull’infanzia di Peter Stauber, originario del villaggio di Burgais e cresciuto dai monaci dell’Abbazia.
Sulla piazza di questa città si svolge l’episodio che segnerà il suo destino: l’incontro con l’Orsa e con la Donna misteriosa venuta di lontano al seguito di una compagnia di zingari musici e saltimbanchi, entrati in città attraverso la Porta Sluderno...

Aur tia ment, osserva mi segnes e ciala da ite de te.

“Apri la tua mente, osserva i miei segni e guarda dentro di te”. Sono queste le parole che Peter e Daniel ascolteranno in circostanze analoghe, nello stesso preciso lasso temporale, ma in luoghi distinti.

Peter tornerà nei luoghi della sua infanzia, e seguendo quei segni giungerà sulla collina di Tarces, che domina la valle e la città. Qui scoprirà una chiesetta dedicata a San Vito, proprio come sul Cjaslir e sull’altura di Maranza. Anche qui si conservava una tavola delle Tre Sante Vergini, Aubet Cubet e Gwere.

Strana coincidenza, non è vero? 


Ma non è tutto. Ai piedi di questa collina sorge un’altra chiesetta, dove tutt’oggi campeggia un gigantesco San Cristoforo. Osservate bene quest’immagine: che ve ne sembra? che sia del tutto casuale (o frutto di una immaginazione perversa) quella strana forma fallica che fuoriesce dalla saccoccia del Santo?

In ogni caso è bene sapere che quella collina era un luogo di culto frequentato fin dall'Età del Bronzo, sede di riti femminili di fecondità: tra i reperti più interessanti si ricorda un fallo istoriato in corno.

Che tutto sia davvero casuale?

D'accordo, probabilmente sono solo fantasie: ma si tratta pur sempre di un romanzo...
A voi la parola!

giovedì 3 aprile 2014

Nel ricordo di Mario Rigoni Stern

Un reportage di Lucia Gross
 

Il Palazzo dei Congressi di Riva del Garda era pieno zeppo, sabato 29 marzo, per la consegna del Premio “Mario Rigoni Stern” per la letteratura multilingue delle Alpi. Lo sguardo fiero ma sereno dello scrittore di Asiago campeggiava dal grande ritratto posto accanto al palco, mentre le parole tratte dai suoi scritti risuonavano attraverso la voce di Bepi de Marzi, alternate alle musiche eseguite con bravura dagli allievi del Conservatorio di Trento e Riva. 

Il premio è andato al romanzo “La voce degli uomini freddi” di Mauro Corona (Mondadori), un autore famoso, che ha manifestato stima e affetto per Mario Rigoni Stern. Secondo il coordinatore della giuria Graziano Riccadonna, questo riconoscimento rappresenta anche una sorta di “premio alla carriera” per lo scrittore di Erto, che a suo stesso dire ha trovato nella letteratura la strada del riscatto da una “vita scellerata”, condizionata da alcool e iracondia. 

“Quanto stasera tornerò a casa e mi guarderò nello specchio, mi dirò che forse ce l’ho fatta ad uscire dall’inferno”, ha commentato Corona. 









Oltre ad assegnare il prestigioso riconoscimento a Mauro Corona, la giuria ha voluto segnalare altre due opere considerate di particolar valore per la considerazione che questo premio rivolge al multilinguismo. Tra i partecipanti vi erano anche degli autori ladini, e proprio l’opera di un ladino, Fabio Chiocchetti, ha ottenuto la segnalazione della giuria (accanto al romanzo in lingua tedesca “Der Nachlass Domenico Minettis” de Dietmar Gnedt). 

Il suo romanzo storico “I Misteri del Cjaslir” è stato apprezzato per la capacità di dare, attraverso la storia di un vescovo e quella dei processi per stregoneria in Fassa, un quadro articolato della storia del popolo nei secoli passati, fra leggende, credenze e tradizioni. 
Fabio Chiocchetti, che ha ricevuto il riconoscimento dalle mani dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz, si è detto molto contento del fatto che la lingua ladina possa trovare attenzione anche fuori dai propri confini. 

Nella sua opera infatti il ladino – e un ladino molto curato e di notevole forza letteraria, viene usato – in contrapposizione con l’italiano dotto proprio degli ambienti culturali del ’600 – per dar voce al pensiero e al dolore delle donne della nostra terra, donne che avevano un rapporto molto profondo con la natura e i suoi segreti. 

(tradotto in sintesi dal ladino, “La Usc di Ladins” n. 14/ 2014)

domenica 23 marzo 2014

Libri, lingue e minoranze

Molto più di una recensione

• C’è un ritornello sempre di moda quando si affrontano temi culturali nel nostro paese: in Italia si legge poco, pochissimo, niente. Forse sarà vero, non mi intendo di statistica, ma poi vedo librerie e libri un po’ ovunque e la cosa mi conforta.
Io non sono così snob da considerare il libro oggetto sacro e intangibile tale da non poter fare la sua bella figura accanto al banco degli affettati, considero però un valore aggiunto la mano saggia del libraio, e bene prezioso la sua amicizia. Non sono nemmeno così ingenuo da non sapere cosa si legga oggi in Italia, ma sono convinto che ognuno abbia diritto al proprio libro, qualunque esso sia.
 (...)


Oggi voglio scrivere di un libro non facile ma bello, oppure se preferite, bello perché non facile, un libro che ho incontrato anche al supermercato e che in questi giorni ha avuto la rara ventura di essere ristampato; per un libro di tale fatta pubblicato da un piccolo editore è un sicuro avvenimento. Il libro è: I Misteri del Cjaslir scritto da Fabio Chiocchetti edito da Curcu e Genovese.
Un romanzo che riguarda da vicino le minoranze, ogni minoranza! Riguarda le minoranze linguistiche della nostra regione, perché Fabio Chiocchetti da fine cultore della sua lingua madre Ladina ricama la sua scrittura con pagine in ladino dalla forza inconsueta che insegna a tutti noi scrittori di minoranza quanto le piccole lingue possano essere strumento di grande letteratura. Certo l’italiano rimane strumento per raggiungere un pubblico più ampio, ma se accanto a quello riusciamo a non dimenticare mai la nostra Lingua Madre possiamo, come bene ha fatto Chiocchetti, raggiungere due obbiettivi ugualmente importanti: farci leggere da più persone e contemporaneamente fare apprezzare, con una lingua più vicina all’anima, quanto di profondo e complesso ci sia in una minoranza etnico linguistica e farne capire l’importanza per ognuno anche se appartenente alle cosiddette maggioranze.

Riguarda le minoranze in genere, perché il romanzo racconta di un tempo strano della storia, un tempo in cui si apriva la modernità e per contrasto o forse invece per conseguenza, si bruciavano sul rogo, con tutta l’ufficialità possibile, persone accusate, non già di delitti orrendi, ma di cose che nel buio del medioevo più profondo venivano considerate fantasie di povere donne, di Minoranze. 
Già, I Misteri del Cjaslir si occupa in apparenza di streghe e inquisitori, di vescovi e di gente del popolo, ma a mio avviso si occupa di quello che l’autore sottotraccia ci indica come una minoranza, una minoranza culturale, religiosa e linguistica, una minoranza che risulta insopportabile alla furia omologatrice della modernità nascente. Una minoranza sotto scacco, le streghe! Una minoranza, la cui lingua risultava incomprensibile agli inquisitori per la distanza invalicabile che separava il suo mondo da quello dei chierici. Una minoranza dentro lo stesso popolo minuto che nutriva nei confronti del fenomeno un comportamento ambivalente, che diventa sempre più intollerante man mano che la cosiddetta modernità prende piede. 
Oggi siamo di fronte ad altre e altrettanto potenti forze omologatrici, riflettere sul mondo delle streghe con la competenza dello scrittore di Moena non può che essere riflessione sullo stato delle nostre minoranze tollerate fino ieri, domani con la scusa economica spazzate via dalla storia. 

Andrea Nicolussi Golo

(PS: l’immagine qui sopra riprodotta è un’opera dell'artista fiemmese Mariano Vasselai)

giovedì 13 marzo 2014

Uno strano Salvan

Ovvero: un'altra divinità con tre volti

Di ritorno da Bressanone, dove nei giorni scorsi ho avuto modo di presentare il romanzo, eccovi l'immagine inquietante del "Salvan tricipite" che sorprende il buon Peter Stauber per la sua inopinata similitudine con il Padreterno dipinto sulla volta del santuario di Santa Giuliana.
Ve la ripropongo insieme al passo che lo riguarda...



Intanto, scendendo da porta San Michele dopo aver sbrigato le faccende, eravamo ormai giunti all’incrocio con i Portici Minori. In quel mentre alzai lo sguardo e di colpo mi fermai impietrito:
«Eccolo, è là...» mi sorpresi a sussurrare mentre fissavo immobile la figura lignea che adornava l’angolo di un edificio che si ergeva proprio di fronte a noi, prospiciente la Casa del Giudizio.
Pellegrin seguì il mio sguardo, poi disse rassicurante:
«Quello è il Salvan, l’Uomo Selvatico, non c’entra nulla...»
«Ma... ha tre volti!»
«Beh sì, ma non ha nulla a che vedere con Sentovit.»
«Ne sei proprio sicuro?...»
«Certo, è un personaggio di cui si narrano leggende, storie fantastiche, le conoscono anche i bambini...»
Le conoscevo anch’io. Erano comuni nelle valli alpine, ed erano più o meno le stesse. (...)

Non so per quanto tempo rimasi assorto in questi pensieri. Pellegrin mi scosse:
«Stai bene, Peter?»
«Ma ha tre volti...», ripetei ancora frastornato.
«Già, è strano in effetti, non ci ho mai fatto caso. Non ne so nulla, chiederò in giro, se la cosa ti interessa...»
Lo ringraziai e tornammo alla locanda. Mentre ci veniva servito il solito pasto frugale, chiedemmo all’oste notizie su quella strana effige.
«Ah sì, der Wilde Mann, l’Uomo selvatico. È un po’ il portafortuna della città, per chi ci crede... Dicono che se lo fissate a lungo, quello si mette a sputar monete d’oro da ognuna delle sue tre bocche...»
«Certo!» aggiunse un avventore che aveva seguito la conversazione da un tavolo vicino, «ma solo il Venerdì Santo, quando suonano le campane!...» Ovvero: mai. Al ché gli astanti proruppero in un’unica sonora sghignazzata. A me sembrò peraltro che dietro tanto scetticismo affiorasse ancora il ricordo di un’antica divinità benefica, dispensatrice di ricchezza e di fortuna, un tempo degnata di maggior rispetto...

Su questo tema, vedi anche: TRIADI DIVINE  E DIVINITÀ TRIFORMI, dicembre 2013. 

venerdì 21 febbraio 2014

A proposito di Gostanza

Il pensiero di Luciana Battan, scrittrice

• Dionigi di Castrocciaro la fa rimettere in libertà, punita solo con l’esilio, perché «alla fine s’è veduto che cotesta povera vecchia tutto ha detto per tormenti e non è vero niente». Ecco estrapolo questa citazione come emblematica di quel tempo e di quelle "efferatezze" che trovano secondo me una minima giustificazione nel loro tempo storico ancora in preda a superstizioni e credenze nei presunti poteri sovrannaturali e quindi demoniaci di certe donne. Il giudice qui citato penso sia eccezione di quel pensare colpevoli donne soprattutto del popolo, nonostante fosse alquanto palese l'improbabilità di quanto affermavano sotto tortura.
Ciò che allibisce anche me, è vedere come tutte le confessioni, estorte sotto tortura, fossero uguali e, nel corso della stesura del mio romanzo, mi sono chiesta molte volte il perché. Sono arrivata a ipotizzare due idee:
- alle accusate venivano lette le deposizioni e le denunce fatte dalle donne precedentemente interrogate, quindi gioco forza bastava semplicemente ripetere, confermare e/o arricchire quanto era già stato detto
- realmente queste donne avevano una certa "pratica conoscitiva" di rimedi per curare o maledire che si rifacevano a un'antichissima cultura popolare, ancora molto viva e praticata.

NB: Luciana Battan, autrice di romanzi storici, si è occupata tra l'altro anche dei processi per stregoneria di Nogaredo (1646-47), una vicenda assai vicina nel tempo e nello spazio ai processi di Fassa. Dopo la recente pubblicazione di "Rosso riflesso", attendiamo anche l'uscita di questa sua ultima fatica, a proposito della quale mi scrive: «Ho intrapreso questo lavoro nel 2011, poi sospeso per oggettiva difficoltà sia nel reperire le fonti, sia nel riuscire a trovare un registro linguistico adatto al linguaggio del tempo. Finché ho avuto la fortuna di trovare la trascrizione dalle filze degli atti processuali fatta dal Dandolo nel 1856 e pubblicata». Il che la dice già lunga sulla serietà con cui l'Autrice ha affrontato l'argomento... (fch)
E poi ancora:
«Trovare le parole, le parole delle condannate è stato per me un colpo al cuore. E non ho più indugiato. Ho voluto che le loro parole arrivassero fino a noi, e che ancora una volta ci mostrassero l'assurdità della Storia che si accanisce contro essere miseri in ogni senso. La crudeltà della Storia verso i poveri e gli emarginati. E alla fine ho pensato che la Storia non fa altro che ripetersi, nelle sue brutture e nei suoi drammi. Un'opera che comunque considero ancora nella prima stesura».